RIPORTANDO TUTTO A CASA OVVERO LA NASCITA DELLA CONTROCULTURA AMERICANA / PRIMA PARTE


“Non fidarti di chi ha più di 30 anni”. In una vignetta pubblicata da Charles Schulz nel 1971 (l’autore del celeberrimo fumetto Peanuts) Linus si rivolge all’amico Charlie Brown dicendogli: “Bob Dylan compirà 30 anni questo mese”. Segue una vignetta in cui Charlie Brown si volta verso Linus e tenendosi la testa fra le mani con il viso sconvolto, mormora: “Questa è la notizia più deprimente che abbia mai sentito”.

In un solo sketch, il geniale fumettista dipinge la fine di un’era, quella della contro cultura (termine coniato dallo studioso Theodore Roszak nel 1969 nel suo libro La nascita di una controcultura: riflessioni sulla società tecnocratica e sulla opposizione giovanile) che aveva dominato e cambiato la storia degli Stati Uniti - e non solo - nel corso degli anni 60. In quel momento storico, il mondo occidentale era stato diviso fra “giovani” e “adulti”: i primi erano i portatori degli ideali di libertà, giustizia, pace, emancipazione; i secondi rappresentavano tutti i mali della società: sfruttamento economico, moralismo bigotto, regole, militarismo. Per questo non ci si poteva fidare di chi avesse avuto più di trent’anni: i giovani erano i cosiddetti boomer, i nati tra il 1946 e il 1964, che quindi, al 31 dicembre 1969, non potevano avere 30 anni. Che Schulz abbia identificato il trentesimo compleanno di Bob Dylan come il momento della fine di un’epoca, la dice lunga di quanto il cantautore americano fosse considerato, non solo dai fan della musica rock, il simbolo degli anni 60.


In realtà queso movimento sociologico e antropologico, politico e culturale, esisteva sotto traccia sin dagli anni 50, una corrente sotterranea contraria all'ordine costituito. Ancor prima, a porsi come alternativa ai valori religiosi bigotti, a quelli politici guerrafondai, a quelli razzisti, a quelli del capitalismo e della società dello sviluppo economico pensato come panacea in grado di dare all’uomo, dopo la tragedia delle due guerre mondiali, il benessere assoluto e la felicità, elementi fondanti della nuova America che si sarebbero diffusi in tutto il mondo occidentale, erano stati gli esponenti della cosiddetta Beat Generation che esprimevano la reazione contro l’ordine americano costituito. Attraverso la loro arte, misero in discussione e sfidarono apertamente gli Stati Uniti del dopoguerra. Era un movimento incentrato sul rifiuto del consumismo che travolgeva il loro paese, fornendo come alternativa il ritiro nel privato, nella natura (anticipando l’ambientalismo), l’amore libero e la ricerca spirituale, attingendo tanto dal buddismo quanto dal cattolicesimo. Era però un fenomeno limitato e circoscritto. 


Dall'11 al 15 giugno del 1962 si tenne a Port Huron il primo congresso degli Studenti per una Società Democratica (SDS), una organizzazione politica studentesca nata due anni prima da una scissione dalla League for Industrial Democracy (Lega per la democrazia industriale - LID), una antica organizzazione radicale che derivava a sua volta dalla Intercollegiate Socialist Society (Società socialista interuniversitaria), fondata nel 1905 da Jack London e Upton Sinclair. Nel corso di quel congresso venne approvata la Dichiarazione di Port Huron.

Il manifesto di Port Huron era fortemente influenzato dal movimento per i diritti cvili e dall'ideologia kennediana della Nuova Frontiera: criticava il sistema, si poneva su posizioni pacifiste che rifiutavano la Guerra Fredda, la corsa agli armamenti e temeva lo scoppio di una guerra nucleare 
In politica interna contestava la discriminazione razziale, l'ineguaglianza economica, i partiti politici tradizionali statunitensi. Richiedeva anche un deciso programma teso al welfare e contro la povertà.


A differenza dei precedenti movimenti di sinistra statunitensi, SDS era attento anche ai temi del disagio esistenziale e generazionale.
I metodi d'azione proposti dal manifesto prevedevano: la nonviolenza, la disobbedienza civile e il diritto per ogni giovane di praticare la democrazia partecipativa. Poiché riteneva di poter lottare contemporaneamente su tutti i fronti di intervento proposti, rifiutava l’anticomunismo, dottrina ufficiale di quasi tutte le forze politiche degli Stati Uniti  anche di sinistra. Pur non avendo alcun accento marxisrta né filo comunista criticava duramente il maccartismo e la paranoia enti sovietica diffusa negli USA:

“Noi siamo le persone di questa generazione, cresciute almeno nel comfort moderno, ora ospitate nelle università, che guardano con disagio il mondo che ereditiamo”.

Lo studente della classe media il “baby boomer”, a cui si permetteva il lusso dell'introspezione, si trasformò insieme alla Beat Generation nella controcultura hippy. Gran parte di ciò ebbe inizio nei campus universitari dove l’SDS fu responsabile dell’organizzazione di molte delle prime proteste contro la guerra in Vietnam. I giovani degli anni 60 erano profondamente consapevoli del divario generazionale tra loro e i loro genitori in un mondo in rapido cambiamento.

Alla fine degli anni 60 niente sarebbe stato più uguale.

Ma se c’è una data esatta in cui nasce in America la contro cultura di massa, è il 22 marzo 1965. Quel giorno nei negozi di dischi americani esce il quinto disco in tre anni di Bob Dylan (Bringing It All Back Home), una svolta totale in cui il cantautore americano prende definitivamente le distanze dal mondo dell’attivismo folk di sinistra a cui era appartenuto fino ad allora, per buttarsi a corpo libero nelle nuove propulsioni rock che i Beatles avevano diffuso nel mondo. Lo farà in modo ancora approssimativo, affidandosi alla formula del blues elettrificato in una sola facciata del disco, la prima, ma anche se accompagnato solo dalla chitarra acustica e da un basso elettrico, le canzoni della seconda facciata dell’album si sarebbero dimostrate milioni di anni luce lontane dalle ballate folk a cui aveva attinto sino a poco prima, inaugurando qualcosa di totalmente sconosciuto e innovativo.



Ma cosa ci fu di realmente rivoluzionario in questo disco? Il fatto che il musicista avesse usato per la prima volta un gruppo di accompagnatori che suonavano strumenti elettrici in una manciata di canzoni del disco non fu considerato così dirompente come sarebbe successo alcuni mesi dopo con la pubblicazione del singolo Like a Rolling Stone e dell’album che lo conteneva, Highway 61 Revisited, quello sì qualcosa di inaudito per i tradizionalisti del folk, perché in qualche modo Dylan era ancora legato alle formule, quella del blues in particolare, care agli stessi attivisti di sinistra, e di giovani che suonavano blues elettrico ce ne erano già tanti. Quello che fu dirompente e inaudito fu il linguaggio lirico usato dal cantautore.


Attingendo dall’atmosfera che si respirava nelle strade di New York, nei circoli culturali, dallo sperimentalismo del concittadino Andy Warhol e nei campus universitari di tutto il paese che aveva visitato in lungo e in largo tenendovi per anni molti concerti, Bob Dylan canalizzò quel disagio che sentiva accadere, coniando l’ABC del nuovo giovane americano, fornendo un autentico manuale di vita alternativo, che rifiutava allo stesso tempo l’America ufficiale quanto la sua opposizione di sinistra. Entrambi infatti come lui aveva avuto modo di sperimentare, erano troppo ristretti, omologanti, massificanti per l’autentica esigenza di vita che lui e altri sentivano irrompere in se stessi.


Bob Dylan rompeva ogni barriera e aveva l’insolenza di dire che questo mondo, tutto intero, non è abbastanza. Introduceva un linguaggio nuovo che sarebbe diventato un codice di vita per milioni di suoi coetanei rappresentando perfettamente la figura allora inedita di chi rifiuta ogni tipo di regola e di indicazione morale, che fosse il perbenismo imperante, ma anche lo schieramento ideologico. In una parola poneva in cima a tutto la libertà senza compromessi dell’essere umano e, soprattutto, “si tirava fuori” e instigava disillusione. Tutto ciò sarebbe diventato il mantra del movimento hippie che sarebbe sfociato di lì a poco: un mondo nel mondo. Davanti a valori che non corrispondono al cuore dell’uomo, al suo più autentico bisogno, Bob Dylan dichiara una resa apparente e osserva con malcelato cinismo la fine di ogni possibilità: 


Parole disilluse abbaiano come proiettili

mentre divinità umane prendono di mira i loro obiettivi

fanno di tutto, armi giocattolo che scintillano

a Cristi color carne che si illuminano al buio

è facile capire senza neanche sforzarsi troppo

resta davvero poco

che sia davvero sacro


Mentre predicatori predicono destini malvagi

insegnanti insegnano che il sapere aspetta

può condurre a piatti da cento dollari

le divinità si nascondono dietro i loro cancelli

ma persino il Presidente degli Stati Uniti

a volte deve

restare nudo


Tutto il disco contiene frasi, moniti, dichiarazioni che sarebbero entrate nel linguaggio comune della società americana nei decenni a venire, anche di un presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, che in un suo discorso cita un verso di It’s Alright Ma (I’m Only Bleeding) (“Se non sei impegnato a rinascere, sei impegnato a morire”). Fra i tanti (anche se il mio preferito appartiene a un disco di un anno dopo, Blonde on Blonde: “Per vivere fuori della legge devi essere onesto”):


“Non seguire i leader”; “Non chiedermi nulla di nulla, potrei dirti la verità”; “Non lavorerò mai più nella fattoria di Maggie”; “Faccio del mio meglio per essere quello che sono, ma tutti vogliono che sia come loro”; “Non hai bisogno di un meteorologo per sapere da che parte tira il vento”; “I soldi non parlano, imprecano”; “Intanto la vita là fuori prosegue attorno a te”; “Lei è un’artista, non si guarda indietro”; “Se potessero vedere quello che penso, metterebbero la mia testa in una ghigliottina”; “Non c’è successo come il fallimento e il fallimento non è per nulla un successo”. 




Con questo disco Bob Dylan, nonostante lo abbia sempre rifiutato, diventa realmente “la voce di una generazione” cogliendo la realtà intorno e dentro di lui, pubblicando una sorta di manifesto del “nuovo americano” che si sente un diverso a casa sua, impossibilitato ad aderire alle norme sociali, che sente soffocanti per le sue più intime esigenze, e che perciò si ribella attivamente a ogni proposta della cultura tradizionale: studi universitari, lavoro, carriera, matrimonio, una vita preconfezionata dalla culla alla tomba. Ma attenzione, in giro ci sono dei vandali:


Nasci, stai al caldo,

pantaloncini, avventure, impara a ballare,

vestiti, fatti benedire

cerca il tuo successo,

accontentala, accontentalo, compra regali,

non rubare, non ingannare,

vent'anni di scuola

e ti mettono al turno di giorno

Sta' attento ragazzo

fanno tutto di nascosto

meglio saltare in un tombino

accenditi una candela

non metterti i sandali

evita gli scandali

non vuoi mica fare lo scroccone

mastica la gomma

la pompa non funziona

perché la manichetta l'hanno presa i vandali


Ogni canzone di questo disco delinea un personaggio preciso, quello che verrà chiamato il “drop out” (emarginato volontario; chi rifiuta schemi e convenzioni della società, ponendosene ai margini) e che Timothy Leary, parlando al grande raduno simbolo del movimento hippie, lo Human Be-In di San Francisco nel 1967, sintetizzerà in uno dei più riusciti slogan degli anni 60: "Turn on, tune in, drop out" cioè "Accenditi, sintonizzati, abbandona”, riferendosi all’uso dell’LSD, la droga psichedelica che doveva fornire a quei giovani lo strumento per vivere in una realtà alternativa a quella ufficiale. Ma attenzione. Per Leary, e anche per Bob Dylan, “drop out” non significava auto ghettizzassi, nascondersi, imbruttirsi nella solitudine. Anzi: "Drop out significava fiducia in se stessi, scoperta della propria singolarità, impegno per la mobilità, la scelta e il cambiamento. Purtroppo, le mie spiegazioni su questa sequenza di sviluppo personale vengono spesso interpretate erroneamente nel senso di lapidarsi e abbandonare ogni attività costruttiva" dirà lo stesso Leary.

Soprattutto, e questo, oltre naturalmente alle bellissime canzoni, sarebbe stata la chiave del successo del disco, Bob Dylan lo esprimeva non in modo intellettuale, noioso, auto referenziale, ma con una brillantezza, una ironia, una lucidità che fecero di lui l’artista rock più cool di tutti i tempi. La sua capacità di usare parole e di creare immagini lapidarie, fulminanti, caustiche e allo stesso tempo divertenti sarebbe risultata, ancor oggi, imbattibile.


- CONTINUA



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