Sam Stone
L’esistenzialismo proustiano
di un cantautore del Mid West
Sam Stone era uno dei 351.794 soldati americani decorati con la medaglia Purple Heart durante la guerra in Vietnam, la più antica onorificenza militare americana, istituita personalmente da George Washington inizialmente per tutti coloro che erano stati feriti durante dei combattimenti, poi anche per meriti morali.
Sam Stone è una canzone del primo album del cantautore americano John Prine. In un sondaggio tenuto nel 2013 dalla rivista Rolling Stone, si classificò all’ottavo posto nella classifica delle dieci canzoni più tristi di sempre. Sam Stone è molto più che una canzone triste, è una canzone agghiacciante, il cui ascolto è quasi insostenibile, scritta mentre il conflitto in Vietnam era ancora in corso. Sam Stone fu pubblicata più di dieci anni prima che Springsteen portasse alla notorietà del grande pubblico il dramma dei veterani della guerra in Vietnam con la sua Born in the Usa. Benché l’autore non citi mai la guerra in Vietnam, è evidente che il veterano descritto fosse passato attraverso l’inferno del sud est asiatico. Naturalmente il testo si può adattare a tutte le guerre, anche perché già i veterani della Guerra civile facevano uso di droghe come la morfina per cercare di superare il trauma vissuto. Soldier’s Joy, ad esempio, è un brano di allora con un tema simile a Sam Stone: “25 centesimi per il whisky, 15 centesimi per la birra, 25 centesimi per la morfina, mi tireranno fuori da qui".
Benché ci fossero state molte canzoni con a tema la guerra in Vietnam, nessuna aveva ancora trattato il tema dei soldati che tornavano da quella guerra. Ci si era fermati a una generica protesta pacifista e anti militarista. Solo Fortunate son di John Fogerty, pubblicata nel 1968, si avvicina al punto di vista di un semplice soldato, ponendo però al centro un altro tema fondamentale, quello della leva obbligatoria che colpiva per la maggioranza i giovani del ceto basso, soprattutto di colore, e risparmiava la guerra ai figli del ceto alto, nel caso della canzone il figlio di un senatore.
Quando John Prine, notato in un club di Chicago dal cantautore Steve Goodman, esordisce discograficamente grazie all’aiuto di un altro collega, Kris Kristofferson, nel 1971 con l’album omonimo, il suo lavoro di sostentamento era il postino. Un paio di anni prima però aveva svolto il servizio militare in Germania, dove aveva avuto modo di conoscere molti soldati tornati dal Vietnam.
In un'intervista del 2010 per la rivista American Songwriter, spiegò le origini della canzone: “Avevo appena finito la leva. Avevo sempre pensato che uno dei più grandi errori che si fanno durante il servizio militare era di dedicare la metà del tempo a prepararti per la guerra e all'intensità con cui ti sottopongono all'addestramento di base per il combattimento. Se avessero invece impiegato l’altra metà di quel tempo a a insegnarti come tornare a essere un civile, avrebbe fatto una grande differenza. È come una persona che ha scontato una pena detentiva. Tutti parlano di quanto sia difficile tornare alla vita normale e di quanto sia difficile accettare la libertà una volta che ci si abitua a vivere in carcere. Tutti i miei amici che erano stati in Vietnam in qualche modo erano tornati traumatizzati. Non stavo scrivendo di nessuno in particolare. A quel tempo, tutte le altre canzoni sul Vietnam erano semplici canzoni di protesta, inventate per darsi pacche sulle spalle a vicenda per dire "Sì, questa è la causa giusta". Non ricordo nessun'altra canzone che parlasse dei soldati”.
Sam Stone, insieme alle altre formidabili canzoni che compongono il suo disco di esordio come Angel from Montgomery o Hello in there, mostrava una capacità di empatia e di calarsi nei panni altrui che non avevano paragoni. Nelle sue canzoni, Prine aveva la capacità di esporre testi che potevano essere umoristici, ricchi di satira sociale, estremamente tristi, sempre pieni di pietà e attenzione agli ultimi. Era un vero eroe della classe operaia.
Quando pubblicò il suo disco, i soldati e i veterani erano visti da una larga parte della società americana, i giovani contestatori del movimento pacifista, come degli assassini, come dei nemici. Sam Stone fu una di quelle rare canzoni così potenti e penetranti che non solo ha intrattenuto le persone con la sua triste bellezza, ma ha rivelato un altro volto della realtà, nel caso specifico la realtà di chi aveva servito in una guerra.
La canzone, come tutte le sue migliori canzoni, è un asciutto racconto cinematografico: Sam Stone torna a casa dalla moglie e dai figli dopo aver servito “dall’altra parte del mare”. Quel periodo ha messo a dura prova il suo sistema nervoso e gli ha lasciato una scheggia in un ginocchio. Per combattere il dolore provocato dalla ferita comincia a far uso di morfina e per allontanare gli incubi della guerra di marijuana. Questo gli permette di superare il trauma che si porta dietro, ma gli mette “una scimmia sulla schiena”, cioè la dipendenza.
Il benvenuto a casa, dice Prine, non dura a lungo: trova un lavoro da cui venne licenziato e i tentativi di trovarne altri vengono vanificati dalla sua dipendenza dalla droga, quindi inizia a rubare. La dipendenza dalle droghe diventa sempre più forte tanto che “l’oro gli scorreva nelle vene” mentre i figli giocano intorno a lui con vestiti avuti dalla carità di qualcuno.
Sam Stone è rimasto solo, uno scarto della società, e arriva il tragico finale: "Sam Stone era solo quando ha fatto scoppiare il suo ultimo palloncino (in gergo, una dose di eroina)”. Prine lascia intendere che la sua morte è preferibile all'inferno che è diventata la sua vita: "Ma la vita aveva perso il suo divertimento / E non c'era niente da fare / Se non dare via per soldi la casa che aveva comprato con il G.I. Bill/ (il Servicemen's Readjustment Act of 1944, meglio conosciuto come G.I. Bill, era una legge che forniva una serie di aiuti concreti ai veterani di guerra reduci dal secondo conflitto mondiale. Benché tale legge fosse scaduta nel 1956, il termine "G.I. Bill" è tuttora in uso negli USA in riferimento ai programmi mirati per garantire assistenza ai veterani militari.) Per una bara drappeggiata con una bandiera sulla collina di un eroe locale”.
In mezzo a tutto questo il ritornello che dice tutto con amarissima consapevolezza, denuncia e dolore immenso, detto dal punto di vista del figlio di Sam: “C’è un buco nel braccio di papà dove finiscono tutti i soldi, Gesù Cristo è morto per niente, suppongo (…) Le canzoni dolci non durano mai troppo nelle radio rotte”.
Sam Stone è come una radio rotta, dove passano solo canzoni tristi. Gesù è messo sotto accusa, non è in grado di aiutare chi soffre, come invece i Vangeli ci hanno fatto credere. Anni dopo, Johnny Cash inserirà spesso Sam Stone nel suo repertorio concertistico. Da buon cristiano praticante, cambiò però questo verso con “Papà deve aver sofferto molto allora, suppongo”.
Ovviamente Prime non poteva dire a una leggenda come Johnny Cash di non cambiare il verso, ma difese sempre la sua versione: “Era il cuore della canzone perché significa che non c'è speranza. Se un veterano tornerà a casa per essere trattato in quel modo e nessuno lo aiuterà con la sua dipendenza dalla droga, allora a cosa serve vivere?”.
In una canzone di poco più di tre minuti John Prime ha saputo racchiudere le grandi domande dell’esistenza: cosa è la sofferenza? Perché siamo lasciati soli? A cosa serve soffrire? Ha lanciato accuse durissime allo stato e a Dio, ha incarnato la solitudine estrema dei perdenti, degli sfortunati, dei deboli, quelli che non sono nati per vincere. Ha guardato in faccia il dolore dei tanti che incontriamo per strada e verso i quali giriamo lo sguardo dall’altra parte perché ci pongono delle domande a cui sarebbe troppo difficile rispondere. Ha usato dei versi di realismo assoluto (“un buco nel braccio, la stanza che puzzava di morte”).
Come un racconto di Raymond Carver, ma peggio, Sam Stone apre una ferita che non possiamo ricucire. È troppo amaro pensare ai figli di Sam Stone, che vivono della sussistenza dello stato, vestiti usati e poco cibo, mentre il padre si sta uccidendo su una sgangherata poltrona in sala. Ci chiediamo dove sia la moglie, se non abbia retto e lo abbia lasciato lì. Ci chiediamo dove siano i genitori, i fratelli, gli amici. Ci chiediamo perché a un uomo che ha dato i suoi anni migliori allo stato servendolo in una guerra inutile non sia offerto sostegno, non solo economico, ma soprattutto mentale e umano.
Ci chiediamo se Gesù è davvero morto per nulla.
Anni dopo, Bob Dylan avrebbe detto: “Le canzoni di Prine sono puro esistenzialismo proustiano. Viaggi mentali nel Midwest all'ennesima potenza. E scrive bellissime canzoni. Tutta quella roba su Sam Stone, il papà soldato drogato, e Donald and Lydia, dove due persone fanno l'amore a dieci miglia di distanza. Nessuno tranne Prine poteva scrivere così”.
Roger Waters ex Pink Floyd avrebbe invece risposto così a una domanda in cui gli veniva chiesto se sentisse l’influenza del suo vecchio gruppo nelle nuove band inglesi come i Radiohead: “Non ascolto molto i Radiohead. Ho alcuni loro album e semplicemente non mi hanno commosso come invece fa John Prine. La sua è musica straordinariamente eloquente”. In un’altra occasione avrebbe incluso Prine tra i cinque cantautori più importanti di sempre.
Così tanto per un ex postino di Chicago.




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