CROZ
Il navigatore dell'assoluto
"Mi sento come un bambino selvaggio, ingenuo e perso. Mi sembra di non aver mai imparato nulla, come se fossi intrappolato in un ciclo di aspettative tradite. Cose che dovrebbero accadere, ma non accadono. Possibilità che esistono, ma non si concretizzano. Mi manca la chiarezza, non vedo, non capisco. Forse sono solo un uomo terribilmente sciocco."
David Crosby era una figura straordinaria. Un uomo di contrasti e contraddizioni, capace di suscitare tanto ammirazione quanto critiche. Chi l’ha conosciuto di persona lo descriveva come narcisista, autoreferenziale, convinto della propria grandezza. Forse, però, non sbagliava. Le ombre della sua vita sono note: gli abissi della droga, l’arresto per possesso di crack e armi, il vuoto creativo che l’aveva reso incapace di scrivere o esibirsi. Lui stesso, nella sua autobiografia, non nega nulla. "Mi hanno buttato fuori dai Byrds perché ero uno stronzo," ammette senza mezzi termini nel documentario Echoes from the Canyon.
Roger McGuinnn dal canto suo descrisse il suo comportamento quando era membro dei Byrds come quello di un “piccolo Hitler”. Era mercuriale. Sapeva essere assolutamente affascinante e maliziosamente divertente – i fan gli diedero l'affettuoso soprannome di Old Grey Cat (Vecchio Gatto Grigio) – e incredibilmente generoso con gli altri musicisti: Joni Mitchell, tra gli altri, gli doveva molto. Poteva anche essere impossibile: prepotente, chiacchierone, convinto della propria genialità.
Il fatto era che aveva ragione: Crosby era davvero brillante. Era dotato di una voce meravigliosa e di un dono straordinario per l'armonia che non ha avuti uguali. Tra i pezzi scartati da If I Could Only Remember My Name ce ne è uno che si intitola Bach Mode (Pre-Critical Mass) cantato a-cappella. Crosby esegue una melodia tipicamente classica, appunto alla Bach, raggiungendo una melodia di purissima bellezza e note altissime.
Le contraddizioni fanno parte delle grandi personalità. Ma Croz, come lo chiamavano gli amici, aveva un grande cuore. Il suo sorriso piacione era irresistibile e le sue canzoni… Mio Dio, le sue canzoni.
A parte i brani più politicamente e civilmente impegnati, tipici del periodo storico in cui stava scalando i grandini della celebrità come Triad, che inneggiava in modo allora trasgressivo all’amore libero e all’abolizione della famiglia classica, o Long time gone, composta sull’onda dell’emozione per l’assassinio di Robert Kennedy, Crosby è sempre stato un indagatore dell’animo umano. Smaniava che ci fosse una risposta alle domande implacabili che la vita mette davanti. Cercava per ogni latitudine quel “capitano ombra” che portasse in porto il suo veliero. Giurava di aver visto qualcuno che gli svelasse la verità, ma era solo il riflesso di un’ombra.
Aveva vissuto un dramma terribile, che probabilmente aveva spalancato la porta a queste domande, la morte della fidanzata appena ventunenne in un incidente stradale. Tutto il suo primo disco solista è un viaggio tra stanze angoscianti e fantasmi che appaiono e scompaiono. Con un’anima blues, invocava la speranza che a casa ci fosse qualcuno che lo aspettava, ma solo nei sogni poteva vedere un amore che potrebbe esistere.
Se è vero, come vero, che il suo primo disco è un capolavoro degno di stare fra i migliori dischi rock mai incisi, è altrettanto vero che forse le sue canzoni migliori si trovino nel primo disco in coppia con l’amico Graham Nash. If I could only remember my name contiene canzoni stratosferiche, ma è anche il frutto di un lavoro comunitario, quello della miglior scena musicale della San Francisco hippie di inizio anni 70. Ci sono dentro tutti, da Jerry Garcia a Neil Young, da Jorma Kaukonen a Graham Nash, da Joni Mitchell a Jack Casady, da Paul Kantner a Grace Slick, da Michale Shrieve a Bill Kreutzmann. Una vera comune rock dove ognuno contribuì al massimo delle sue capacità. Un’opera cristallizzata in un momento storico unico.
Il primo disco omonimo di Nash e Crosby invece è più un prodotto pensato per il grande mercato, secondo l’ottica che ormai le case discografiche avevano intrapreso. I due venivano dal successo planetario di CSN&Y ed erano un investimento certo, dato che il super gruppo si era sciolto. Il suono dell’album è pulito, perfettino, molto radiofonico, sebbene in un brano (di Croz ovviamente) ci siano schierati tutti i Grateful Dead. Ma le canzoni di Crosby per chi scrive sono il suo picco creativo di sempre. Attenzione: a parte due, erano però brani (The wall song e Where Will I be già composti e provati per If I could only mentre un’altra, Games, risaliva addirittura al 1968, poco dopo la fuoriuscita dai Byrds).
In quei brani c’è dentro tutto l’uomo vero, il navigatore solitario degli oceani alle prese con le sue ansie, le sue angoscia, le sue paure. E c’è la sua abilità musicale purissima e debordante.
Whole cloth (un buon blues abbastanza canonico che si dirige verso aperture jazz impreziosito dalla chitarra di Danny Kootch) già pone le basi di tutto il discorso compositivo di questo Crosby: “Su cosa basi la tua vita, amico mio?”. La domanda è esplicita, non pone alternative e va dritta al cuore: “Verso quale stella volgi lo sguardo in una serata fredda e ventosa, quando sei da solo?”. A chi guardi, chi ti dà una direzione, un senso alla vita?
Crosby vede che le grandi utopie che hanno accompagnato lui e i suoi amici fino a quel punto si stanno sgretolando: “Ho sempre creduto che intendevo quello che dicevo, ma ultimamente ho letto che stavamo mentendo, tutti noi, ce lo stiamo inventando di sana pianta”. Lo scenario è quello: il sogno è finito.
La voce, meravigliosa, di Crosby in questo disco è di una perfezione assoluta. Sembra si indirizzi su note e armonie che solo lui conosce. Entra a metà di ogni possibile armonizzazione e crea un tessuto sonico così incantevole e così perfetto che non ci sono paragoni. Lo si sente nello scherzetto di Page 43, una sorta di dolce melodia zen che dice che alla pagina 43 di chissà quale libro c’è la risposta a tutto. Non dite che non siete mai andati a vedere a pagina 43 di qualche vostro libro… Lo abbiamo fatto tutti. È leggera come il profumo di marijuana, in uno stato di beata consapevolezza che ricorda quella che Jack Kerouac descriveva nelle sue visioni buddiste. L’invito è semplice: prendi la vita prima che sfugga via, inutile perdere tempo a cercare oro e argento. Alla fine è tutto qua: “Passamelo ancora una volta credo che prenderò un sorso di vino, la vita è bella anche con gli alti e bassi e dovresti berne un sorso altrimenti scoprirai che ti è sfuggita”.
Con la lirica chitarra di Jerry Garcia, The wall song precede il muro di Roger Waters di diversi anni, ma il tema è lo stesso, cercare di saltare quel muro che ti ha imprigionato per anni. Ci riuscirà? Come ogni canzone di Crosby, non c’è risposta, tutto resta in sospeso. Il brano è grintoso, pieno di energia, l’apporto dei Dead è fondamentale, ma non ci sono esagerazioni psichedeliche. Ben presto, nei dischi successivi, Crosby preferirà prendere una strada che lo porterà, nei dischi solisti degli ultimi suoi anni di carriera, verso il jazz e quel suono californiano pieno di momenti funk. Smetterà anche di drogarsi, se è per quello, dopo l’anno passato in galera a metà anni 80.
Games, il brano composto nel 68, è un semplice giro di blues che Crosby rende rarefatto e dolce allo stesso tempo. Nel testo riflette su se stesso, sul suo ego esagerato e sul mondo della musica che lo circonda ma non solo: “Il gioco stava migliorando più saggio di te mezzo pollice più alto
(…) Il gioco per guadagnare soldi, il gioco per ottenere di più, il gioco di potere dell’ego, il brutto gioco della guerra, uccide l'amore non lo sai?”.
Tutto sembra finire male: si nasce semplici e onesti, si muore “nell’aria cattiva”, si rimane feriti a un certo punto, ma nonostante questo “ti amo”.
E infine “quel” pezzo.
Poco più di tre minuti, identico al demo inciso per If I could only ma arricchito di intriganti effetti sonori. È un brano che riassume la desolazione e la solitudine totali, sicuramente pensato per il momento di sbandamento totale che seguì la morte di Christine, la sua fidanzata, ma che vale per tutti e per sempre, quel dislocamento che ci assale quando, girando la chiave della porta di casa, tornando alla sera dalle nostre faccende, non troviamo a casa nessuno. O troviamo solo ricordi di una presenza ineffabile:
Dove sarò quando tornerò a casa?
Chi vedrò quando sarò tutto solo?
E cosa farò?
Solo queste parole ripetute due volte. Nel mezzo, la voce di Crosby si leva come un’onda oscura, ripetendo un mantra doloroso, un mugugno ancestrale che, amplificato da eco inesorabili e sottili alchimie tecnologiche, si trasforma in un grido possente, capace di scuotere l’anima. È il lamento disperato di uno spirito sull’orlo del baratro. Intanto, accordi di chitarra acustica intonano una nenia ipnotica, echeggiando frammenti di antiche armonie, forse di Bach, Beethoven, o Chopin, evocando un passato remoto di bellezza e tormento. L’effetto è travolgente, un momento di pura tensione che si dissolve rapidamente, lasciando un vuoto. Ma quel brano, quel frammento, resta inciso per sempre. Immenso.
Negli anni Crosby continuerà a scrivere canzoni meravigliose, intonando melodie jazzy, continuando a indagare sulla caducità dell’essere umano, continuando a porsi interrogativi implacabili senza vedere alcuna risposta possibile
Ho l'anima di uno straccivendolo
Ho la mente di una lumaca
Continuo a spazzare via i problemi
Sotto il mio tappeto
E tutti
I miei amici del bel tempo, sì
Non avrò più tempo
Per fare ammenda
Perché i ciechi guidano i ciechi
E sono stupito di come inciampano
Verso casa attraverso la foschia
O ancora, forse il brano definitivo da questo punto di vista, di una eleganza musicale sopraffina:
Tutto quello che vuoi sapere
Chiedimelo e basta
Sono l'uomo più supponente del mondo
…ti darò una risposta se posso (risposta)
Prendine una di passaggio (di passaggio)
Che sembri giusta per te
Ma poi alla fine era solo uno scherzo:
C'è qualcosa che vuoi sapere?
Su qualsiasi argomento?
Ho tempo per un'altra domanda qui
Prima che io (cada) cada (cada)
Cada
…Ma c’è davvero qualcosa?
Noi non lo sapremo mai. David Crosby, che il 18 gennaio di due anni fa finalmente è stato portato nel porto a cui anelava dal suo capitano ombra, adesso sa le risposte. E ci manca. Tantissimo.
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