Un vento idiota

 

“Idiot wind, blowing through the buttons of our coats / Blowing through the letters that we wrote . . . We’re idiots, babe, it’s a wonder we can even feed ourselves”

 

 



“Se soltanto Bob Dylan ci desse un altro disco come Blood on the Tracks, disse anni fa Keith Richards. Jakob Dylan, l’ultimo figlio del cantautore, l’unico ad avere tentato peraltro con successo la carriera del musicista, disse a proposito di quell’album “Non riesco ad ascoltarlo, quelli sono i miei genitori che parlano”. E chi più di un figlio che viveva nella stessa casa di quei due avrebbe potuto riconoscere nei versi di quelle canzoni i suoi genitori?

L’autore però ha sempre negato, anche in maniera brutale, che quel disco parlasse dei suoi problemi con la moglie, Sara Lownds, spingendosi fino ad affermare che fosse ispirato ai racconti di Anton Čechov. Ha persino mostrato fastidio per l’idea che le persone si identifichino con il dolore espresso nell’album. Durante un’intervista radiofonica con Mary Travers (del trio Peter, Paul and Mary), alcuni mesi dopo l’uscita dell’album, dichiarò: “Molte persone mi dicono che hanno apprezzato quell’album. Per me è difficile capire—cioè, persone che apprezzano quel tipo di dolore.” In un’altra occasione disse semplicemente che quando scrisse le canzoni contenute in Blood on the tracks era sposato e avrebbe divorziato anni dopo, il che è vero.

I testi di queste canzoni hanno subito nel corso degli anni e delle esibizioni live continui rimaneggiamenti, segno che l’autore non ne è mai stato soddisfatto, ma anche che le storie in esse narrate non erano definitive, non erano la narrazione ultima dei suoi problemi matrimoniali, ma un’opera in corso,  e scrutando nel libricino con le prime stesure, si notano innumerevoli correzioni, segno questo della volontà di produrre qualcosa di perfetto, di livello, a cui Dylan anelava ostinatamente.

Per tutti però Blood on the tracks è il più grande “break up album” della storia (dimenticando però capolavori come In the wee wee small hour of the morning di Frank Sinatra), cioè “il disco sulla rottura, la fine di una relazione sentimentale”.

Sostanzialmente, come ogni grande disco di Bob Dylan, Blood on the tracks è un mistero mai risolto ed è questo che lo rende ancora oggi 50 anni dopo la sua pubblicazione un capolavoro. 

La storia di come nacque è nota. Dylan scrisse su un taccuino gran parte dei brani durante la primavera e l’estate del 1974 nella sua fattoria in Minnesota (il libricino è stato incluso nel cofanetto della serie Bootleg Series dedicato a tutte le registrazioni del disco). Con lui in quel periodo c’era una manager della sua casa discografica, Ellen Bernstein, di cui si dice avesse una relazione con il cantautore. In ogni caso fu lei a spingerlo ad andare in studio a registrare quei brani (si dice anche che lei fosse stata assolutamente contraria alla ri-registrazione fatta a dicembre).




 A settembre Dylan si recò a New York per registrarle. John Hammond, il leggendario produttore della Columbia che fra i tanti più di dieci anni prima aveva messo sotto contratto Dylan, fece una telefonata al produttore Phil Ramone: “Dylan è in città. Datti da fare per registrare le sue nuove canzoni”. Se Dylan era in città, tutti dovevano essere pronti a soddisfare le sue esigenze. Non si sa mai che Dylan avesse pronto uno dei suoi capolavori. E cosi fu.

È ben noto che a settembre in quattro caotici giorni (rimandando a casa un intero gruppo di musicisti) registrò una prima versione del disco molto asciutta e con pochissimo accompagnamento strumentale, da solo all’acustica accompagnato dal bassista Tony Brown, anche se alcuni brani furono registrati con l’accompagnamento di Buddy Cage dei New Riders of the Purple Sage alla pedal steel, un batterista e un tastierista. È altresì noto come, alla vigilia dell’uscita dell’album poco prima di Natale, con le copie di prova del vinile già stampate e l’artwork pronto, decise di ritirarlo e di registrare di nuovo almeno metà delle tracce (forse su suggerimento di suo fratello). Come registrò l’album in Minnesota utilizzando per lo più musicisti sconosciuti (l’unico musicista accreditato per Blood On The Tracks è Eric Weissberg, famoso per “Dueling Banjos”). Come rielaborò il sound dell’album e modificò i testi di alcune canzoni per “ammorbidirli”. Come alleggerì l’album cambiando la tonalità in cui ogni brano sarebbe stato suonato. Pare che il fratello David semplicemente gli suggerì di fare una versione del disco più commerciale e più facilmente vendibile.

In realtà, e la disputa è aperta da sempre da quando cominciarono a circolare le registrazioni newyorchesi, per molti sono più “morbide” le canzoni registrate nelle prime sedute mentre quelle di Minneapolis sarebbero più aspre, più declamatorie, più urgenti. Buon esempio ne è Tangled up in Blue, mentre per chi scrive la versione di Idiot Wind, scarna ed essenziale, è molto più significativa della seconda, troppo manieristica, con un organo che invano cerca di recuperare le atmosfere dei tempi di Highway 61 e di Blonde on Blonde, risultando invece pasticciato.

Di fatto, sul disco uscito il 20 gennaio 1975, Tangled un in blue, You’re a big girl now, Idiot wind, Lily, Rosemary etc, If you see her say hello appartengono alle sedute di Minneapolis, mentre il restante materiale (Simple twist of fate, You’re gonna make me lonesome when you go, Meet me in the morning, Shelter from the storm e Buckets of rain alle sedute di New York. 




 Blood on the Tracks segna per Bob Dylan, in un certo senso, una nuova fase di capacità compositiva, diversa da tutto quello che aveva avuto fino ad allora. Anche se le atmosfere folk richiamano agli esordi, l’approccio è quello tipicamente da singer/songwritier che andava di moda in quel decennio, ma che Dylan ancora una volta portò a un livello superiore, con liriche brucianti ed emotivamente accusatorie e declamatorie. Non c’è nostalgia in questo disco: è il suono di un artista che torna ai suoi punti di forza, a ciò che gli è più familiare, mentre affronta una situazione traumatica, ossia la possibile fine del suo matrimonio. È un album che alterna amarezza, dolore, rimpianto e serenità, il più vicino in cui Dylan sia mai arrivato a mostrare apertamente le proprie emozioni.

Questo non significa che sia un disco esplicitamente confessionale, dato che molte canzoni sono enigmi o allegorie, ma il calore della musica lo fa percepire come tale. È un disco toccante e incredibilmente struggente, non perché offra uno sguardo nella sua anima, ma perché le canzoni sono straordinariamente lucide e sentimentali, allo stesso tempo incantevoli e malinconiche. 

C’è un brano che ha pochi paragoni con qualunque cosa Dylan abbia mai fatto e qualunque altro cantautore lo stesso. Idiot Wind è una rabbiosa, veemente, devastante presa di posizione nei confronti della donna che aveva amato, piena di risentimento e di accuse e anche di insulti (“Sei un’idiota bambina”) che termina con una risoluzione di intenti quasi in forma di patteggiamento (“Siamo entrambi degli idioti, è una meraviglia che siamo vissuti fino ad adesso”). Più delle versioni incise in studio, rimarrà formidabile e definitiva quella dal vivo registrata per lo speciale televisivo Hard Raina a Fort Collins nel Texas il giorno prima del 35esimo compleanno del cantautore. Conteneva modifiche nei testi rispetto alla versione dell'album. La recensione di Mick Farren dell'album afferma che "è necessario un notevole gioco di prestigio per trasmettere l'incessante attacco emotivo di Idiot Wind senza perdere l'atmosfera festosa. Non ho ancora capito come ci sia riuscito". A tutti quelli che dicono che Dylan 'non sa cantare', questo è più che cantare. Quel giorno era presente al concerto anche la moglie. Si dice che fosse arrivata a sua insaputa trovandolo con un’altra donna. 

Naturalmente Idiot Wind è un mistero nel mistero. Alcuni critici hanno detto che “Dylan esplora l'amarezza del risentimento e della vendetta contro un amante e contro sé stesso, che hanno rovinato il loro amore". Dylan ha negato che la canzone sia personale, affermando nel 1985 che: "Pensavo che forse fossi andato un po' troppo oltre con Idiot Wind... Non pensavo davvero di stare rivelando troppo; pensavo che sembrasse così personale che la gente avrebbe pensato fosse su tal dei tali che mi era vicino. Non lo era... Non sentivo che  fosse troppo personale, ma pensavo che sembrasse troppo personale. Che potrebbe essere la stessa cosa, non lo so." Timothy Hampton interpreta la canzone come politica, come un commento sulla guerra del Vietnam, mentre David Dalton ritiene che Dylan faccia dei paralleli tra la sua situazione personale e quella nazionale, e "trasforma il suo destino in un'allegoria del sogno americano andato a male”. Significativo in questo senso il verso "Blowing like a circle around my skull/From the Grand Coulee Dam to the Capitol" che rimanda anche a una famosa canzone di Woody Guthrie. 

In una recensione di The Bootleg Series Vol. 14, Sean O'Hagan ha commentato sulla canzone: "A tratti paranoica, derisoria e vendicativa, è un capolavoro oscuro di intenzioni velenose, gran parte della sua forza grezza risiede proprio nel disagio che l'ascoltatore prova mentre prende slancio e il tono diventa sempre più amaro."

In un'intervista del 1985 con Bill Flanagan, Dylan disse che, sebbene molte persone pensassero che Idiot Wind e l'album Blood on the Tracks fossero legati alla sua vita, "Non riguardavano me. Era solo un concetto di mettere immagini che sfidano il tempo – ieri, oggi e domani. Volevo farle connettere tutte in qualche modo strano."

Qualunque cosa sia questo disco, come disse Clinton Heylin, è "Forse la più straordinaria raccolta di canzoni d'amore del ventesimo secolo, brani pieni dell'intero spettro di emozioni che può scatenare un matrimonio in crisi".

Dylan ha realizzato album più influenti di questo, ma non ne ha mai creato uno migliore.

 


 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

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