Burrito & Broken Dreams
Cosmic Country Heartbreak
Quasi sessant’anni fa, gli ex Byrds Chris Hillman e Gram Parsons pubblicarono The Gilded Palace of Sin, l’album di debutto della loro nuova band, i Flying Burrito Brothers.
Fuorilegge in scintillanti abiti Nudie (il geniale stilista hollywoodiano di origine Ucraina che aveva disegnato abiti per Elvis, Hank Williams e tanti altri personaggi di spicco) oltraggiosamente decorati di paillettes con pillole di sostanze stupefacenti, papaveri (oppio), foglie di marijuana, donne nude e una grande croce sulla schiena, animati dal sogno di strappare il rock dall’abisso psichedelico per riportarlo alle sue radici country pure e semplici, i Flying Burrito Brothers furono i pionieri di un intero nuovo genere che continua a vivere ancora oggi. Non solo country, anche soul. La voce di Gram Parsons si incastrava perfettamente con quella di Chris Hillman creando un impasto sonoro profondamente malinconico, riprendendo in modo stupefacente classici del soul come Dark end of the street scritta da Dan Penn e Chips Moman e registrata per primo dal soul man James Carr. La loro visione musicale era “cosmica”: musica americana cosmica.
Fin dall’inizio furono una scelta per pochi intenditori, quell’esordio – così come i successivi lavori della band – non ebbe grande successo commerciale.
Eppure, col tempo, i Flying Burrito Brothers hanno superato lo status di culto, conquistando rispetto e ammirazione universali splendendo come immortali eroi ambiziosi e senza legge.
The Gilded Palace of Sin: il sogno psichedelico-country dei Flying Burrito Brothers tra droghe, disincanto e redenzione
Quando Gram Parsons e Chris Hillman, reduci dai Byrds, pubblicano The Gilded Palace of Sin nel 1969 con i loro Flying Burrito Brothers, il sogno hippie della fusione tra spiritualità e libertà creativa incontra la dura realtà della disillusione, della dipendenza e del conflitto con le logiche dell’industria musicale. Il disco, oggi considerato uno dei capolavori fondativi del country rock, era allora un oggetto alieno: troppo lisergico per Nashville, troppo honky-tonk per Haight-Ashbury.
L’estetica country come contraccolpo psichedelico
Il suono dell’album è volutamente anacronistico: pedal steel guitar, armonie vocali di scuola bluegrass, abiti da cowboy rivisitati in chiave glam (celebre la Nudie suit con croci, foglie di marijuana e pillole indossata da Parsons). Ma sotto l’apparenza “retrò” si cela l’anima profondamente moderna del disco: è una risposta emotiva al caos di fine anni ’60, una ricerca di autenticità nel bel mezzo della controcultura.
La fusione di country, soul e psichedelia è evidente sin dal brano di apertura, Christine’s Tune (poi nota anche come Devil in Disguise). Dietro la narrazione di una donna manipolatrice, una delle tante groupie che si affollavano dietro ai musicisti rock, si cela la paranoia maschile alimentata da eccessi, relazioni tossiche e una sfiducia crescente verso le apparenze. Christine non è solo una figura femminile: è l’allegoria della seduzione dell’industria musicale, dell’apparente libertà che si rivela trappola.
"Sin City": un requiem per l’utopia
Ma è con Sin City che il disco tocca il suo cuore tematico. Sin City, la città del peccato, è sempre stato il soprannome di Las Vegas, la città del gioco d’azzardo e di ogni genere di perdizione, ma in questo caso la città peccatrice diventa Los Angeles, cuore dell’industria discografica di quel periodo storico. La canzone è un’elegia amara e disillusa rivolta a Los Angeles, raffigurata come Babilonia moderna, luogo di perdizione e ipocrisia. Parsons e Hillman cantano:
“This old town’s full of sin / It’ll swallow you in / If you’ve got some money to burn (…) Take it home right away / You've got three years to pay / But Satan is waiting his turn”
La descrizione è accurata. Hillman e Parsons erano reduci da relazioni sentimentali finite male, e Hillman, uno dei fondatori dei Byrds, era ancora profondamente amareggiato per l’implosione della band e per i macchinamenti del loro manager, il defunto Larry Spector. “Spector era un ladro, era semplicemente così. E nel suo condominio, viveva al trentunesimo piano dietro una porta dorata orrenda e pacchiana (It seems like this whole town's insane / On the thirty-first floor a gold plated door / Won't keep out the Lord's burning rain)” racconta Hillman. La canzone era anche un funebre monito, ha detto Hillman, per “persone come Gene Clark dei Byrds, che è venuto qui dal Kansas con tutto quel talento, tutto pieno di speranza, talentuoso e idealista, e tutta la cosa lo ha inghiottito”.
Un mistero lirico della canzone è l’“amico" non identificato di cui si parla, che viene punito per aver preso posizione. Si scopre che non si trattava di una figura del mondo della musica. "Stavamo parlando di Robert F. Kennedy (che fu ucciso un anno prima proprio a Los Angeles)." La frase sembra sia stata scritta da Parsons, il sognatore bello e trascurato che cantava canzoni religiose del sud agli spiriti perduti di Los Angeles.
Dietro l’attacco alla città degli angeli si cela la denuncia dell’ambiente discografico, delle promesse infrante, della corruzione morale. Il “sogno californiano” è già diventato incubo, e la Sin City è anche Nashville, è anche Hollywood, è tutto ciò che ha tradito l’ideale di fare musica autentica, lontana dal profitto.
Droghe, salvezza e dannazione
Gran parte dell’album è intriso di riferimenti velati (e meno velati) all’uso di droghe e alla tensione spirituale che le accompagna. Hot Burrito #1 e Hot Burrito #2 — due ballate struggenti, con le linee vocali di Parsons che oscillano tra la confessione e l’implorazione — parlano di amore, ma sono anche ritratti della dipendenza come relazione tossica. Le droghe sono amante e carnefice, rifugio e condanna.
Lo stesso Parsons, del resto, viveva in prima persona questo conflitto: rampollo di famiglia del Sud, autodistruttivo e geniale, innamorato della musica country quanto alienato dalla macchina discografica, cercava nelle droghe un’estensione della percezione e una via di fuga dall’ipocrisia.
Un sogno hippie in versione Bakersfield
Se i Grateful Dead portavano la jam band nel cuore della controcultura, i Flying Burrito Brothers tentarono di portare la controcultura nel cuore della musica country. Ma l’operazione non fu capita. Il disco vendette poco, Nashville lo ignorò, e l’industria si disinteressò al progetto.
Eppure, a distanza di anni, The Gilded Palace of Sin è diventato un simbolo: di resistenza artistica, di sogno infranto ma ancora luminoso, di country come musica psichedelica dell’anima, non solo del corpo.
Conclusione: la bellezza della sconfitta
Il primo disco dei Flying Burrito Brothers è un documento emozionale e poetico di una generazione che tentava di conciliare l’assoluto con l’eccesso, il roots con il lisergico. Il country, nelle mani di Parsons e Hillman, non è nostalgia: è epica della caduta.
Tra cowboy immaginari, pillole e redenzioni mancate, The Gilded Palace of Sin resta uno degli album più sinceri e tragici dell’era post-psichedelica. Un palazzo dorato costruito sulle rovine della purezza hippie.
I figli spirituali di Gram Parsons: l’eredità cosmic americana da Uncle Tupelo a Whiskeytown
Gram Parsons morì nel 1973 a soli 26 anni, ma il seme che aveva piantato – la fusione visionaria tra country e rock, battezzata da lui stesso come "Cosmic American Music" – ha continuato a germogliare ben oltre la sua breve parabola terrena. Mentre negli anni ’70 e ’80 il mainstream country si irrigidiva su cliché da classifica e Nashville si chiudeva a ogni tentativo di contaminazione, negli angoli più inquieti del rock indipendente cominciava a ribollire qualcosa. A raccogliere la torcia lasciata da Parsons non furono le radio country, ma una nuova generazione di musicisti indie, disillusi quanto appassionati, pronti a restituire al country la sua anima perduta.
Uncle Tupelo: l'alt-country prende forma
Il primo vero squillo di questa rinascita arriva nel 1990 con gli Uncle Tupelo e il loro esordio No Depression – non a caso il titolo diventerà il nome non ufficiale di tutto un movimento. Jeff Tweedy e Jay Farrar, tra una birra in un bar dell’Illinois e un vecchio disco di Carter Family o Neil Young, reinterpretano il country in chiave punk-folk, tagliente e lo-fi, con testi che parlano di disoccupazione, alcolismo, alienazione provinciale.
Se Parsons cercava la trascendenza, Uncle Tupelo raccontano la resistenza quotidiana. Ma lo spirito è simile: entrambi vogliono dare dignità poetica al vissuto rurale e popolare, riscrivere il country dal basso, con sincerità e disillusione. Dopo lo scioglimento del gruppo, i due leader proseguiranno su strade parallele: Wilco (con Tweedy) porterà avanti un approccio più sperimentale e indie, mentre Son Volt (di Farrar) resterà più vicino al classicismo country-rock.
The Jayhawks: armonie e malinconia Midwest
Un’altra colonna portante dell’alt-country anni ’90 sono i Jayhawks, usciti dalla scena di Minneapolis con un suono che unisce la dolcezza armonica dei Byrds alla malinconia narrativa di Townes Van Zandt. Album come Hollywood Town Hall (1992) e Tomorrow the Green Grass (1995) sono tra i più compiuti esempi di country-rock post-Parsons: melodie limpide, pedal steel discrete ma fondamentali, testi intrisi di solitudine e sogni infranti.
I Jayhawks non sono radicali, non urlano contro Nashville né flirtano col punk come gli Uncle Tupelo, ma incarnano perfettamente quella sensibilità "intermedia" – tra folk, pop e country – che Parsons aveva abbozzato con GP e Grievous Angel. Un suono limpido e vulnerabile, sempre sul confine tra conforto e abbandono.
Whiskeytown e la fragilità post-grunge
Con Whiskeytown, capitanati dal giovanissimo Ryan Adams, la lezione di Parsons si fa ancora più esplicita. Dischi come Strangers Almanac (1997) e Pneumonia (registrato nel 1999 ma pubblicato nel 2001) portano il country nel cuore dell’indie rock post-grunge: chitarre distorte e violini, melodie spezzacuore e rabbia contenuta, tra echi di Rolling Stones e Gram Parsons in egual misura.
Adams – che non a caso registrerà poi un disco chiamato Heartbreaker – è un perfetto discendente spirituale di Parsons: narcisista, fragile, prolifico, a tratti autodistruttivo, ma capace di mettere a nudo emozioni grezze con una sincerità disarmante.
Altri eredi: da Lucinda Williams a Gillian Welch
Ma gli eredi di Parsons non sono solo maschi bianchi con la chitarra in mano. Artiste come Lucinda Williams, Gillian Welch e Neko Case hanno esplorato territori simili, declinando l’alt-country in chiave femminile, narrativa, spesso più intimista o letteraria.
Lucinda, in particolare, con album come Car Wheels on a Gravel Road (1998), ha dato voce a una generazione di donne che vivevano la provincia americana tra desiderio, frustrazione e forza silenziosa. La sua scrittura, cruda e poetica, sarebbe piaciuta a Gram.
Gillian Welch, invece, ha riportato il country alle radici folk della Dust Bowl, ma con una sensibilità tutta moderna e riflessiva. Le sue armonie con Dave Rawlings ricordano molto da vicino quelle tra Gram e Emmylou Harris: intense, dolci, intrise di un pathos senza tempo.
La Cosmic American Music è viva?
Se Gram Parsons è stato un profeta incompreso del country rock, i suoi figli musicali ne hanno costruito la cattedrale. Hanno trasformato la cosmic American music da sogno individuale a linguaggio condiviso, attraversando i decenni e influenzando generazioni intere di musicisti indie, folk, punk, country e cantautoriali.
Nel suo breve tempo su questa terra, Parsons ha aperto una porta. Gli Uncle Tupelo, i Jayhawks, i Whiskeytown e tutti gli altri l’hanno attraversata, portando con sé non solo la sua eredità, ma anche il suo tormento, la sua urgenza, la sua dolce utopia sonora. E quel suono – tra pedal steel, cuore spezzato e visioni lisergiche – ancora oggi risuona.
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