HIGH FIDELITY
A trip down memory lane
In realtà dei dischi a casa mia c’erano sempre stati e io provavo una inspiegabile attrazione verso di essi. Oltre a dei 78 giri di Renato Carosone (mi maledico per non averli tenuti da parte) c’erano molti 45 giri che ascoltavo rigorosamente in un mangiadischi. Mio padre aveva uno splendido stereo ma era vietato per noi bambini avvicinarci… Per qualche bizzarro motivo mi piaceva tantissimo Vecchio frac di Domenico Modugno. La ascoltavo continuamente. Con il senno di poi, credo fossi attratto senza esserne consapevole dalla profonda tristezza del brano. Insomma, era la storia di un suicidio. C’era poi Pensiero d’amore di Mal che mi piaceva anche quella un sacco. Anche lì provavo qualcosa che non ero in grado di capire, ma mi attirava. Era una canzone triste anche quella, la fine di una storia d’amore e benché a quell’età non sapessi manco cosa volesse dire innamorarsi evidentemente tutte e due le emozioni (la morte e la fine di un amore) erano qualcosa che naturalmente sentivo dentro di me, tanto da provarne attrazione senza averne fatto esperienza. D’altro canto sono emozioni che fanno parte del nostro essere uomini e donne, della nostra natura e io le stavo covando dentro. Sarebbero poi esplose, definendomi come persona, l’amore e la tristezza.
C’era poi in casa l’lp di Adriano Celentano, I mali del secolo. Ascoltavo spesso anche quello, però in quel caso avvertivo il grande disagio che quelle canzoni (droga, inquinamento, città asfissianti) comunicavano. Un disco di grande contenuto sociale considerando i tempi (fu pubblicato nel 1972) e considerando che nessuno ha mai associato Celentano alla canzone di protesta come altri suoi colleghi.
Ma tornando al negozio di dischi di Treviso, fu un autentico shock, come piombare su una sorta di isola felice, su un altro pianeta. Ricordo ancora oggi le luci calde, l’arredamento e quelle distese di 45 e 33 giri ovunque, e soprattutto la folla pazzesca di ragazzi che consultavano senza sosta gli album uno per uno. Ed erano tutti felici. Cosa mi ero perso fino a quel giorno?
Io ovviamente non avevo la più pallida idea di cosa regalare a mia sorella, mi venne in soccorso mia cugina consigliandomi Rain and tears di Demis Roussos, che sebbene allora già vecchia di qualche anno (quando era ancora la voce degli Aphrodite’s Child) era di grande successo per via della sua carriera solista da poco cominciata. Non so se a mia sorella piacque, a me tantissimo ancora oggi.
Nella cittadina dove vissi fino ai vent’anni, c’erano inizialmente per quanto mi ricordi due negozi di dischi, uno dei quali era il reparto che la Standa aveva a disposizione tra mutande e costumi da bagno. Non ridete, era un ottimo spazio molto ben fornito e lì ci comprai il mio primo disco in assoluto che, non c’è bisogno di dirlo, mi avrebbe cambiato la vita: Desire di Bob Dylan. Era il giugno 1976, avevo ricevuto 5mila lire come regalo di promozione all’esame di terza media e mi ci fiondai di corsa per acquistarlo, anche se la commessa mi gettò nella disperazione: “Desiré? Non lo abbiamo” rispose in francese alla mia richiesta. No! Si chiama DESAIAR, scritto “desire”… implorai. “Ah eccolo”. Grazie a Dio…
L’altro era in pieno centro, sotto ai portici del “carruggio”, nella piazza centrale della città. Era un signor negozio, molto grande, disposto internamente benissimo, luci basse che invitavano a entrare e perdersi in quel mondo di copertine. I 45 giri a metà degli anni 70 in gran parte erano già passati di moda: era l'epoca degli album, quadratoni con copertine affascinanti che solo quelle ti spingevano all'acquisto. Entrarci dentro era una gioia, anche solo per toccare e ammirare le copertine, che di soldi a quell’età non se ne hanno mai. Come erano belli i dischi degli anni 70, come erano belle, raffinate, curate e intriganti le copertine. Ricordo quella del primo disco solista (peraltro bruttino) di Chris Hillman, l’ex bassista dei Byrds, stampata su una specie di raso, bella da toccare e da guardare. Gli artisti, allora, vista l’epoca, erano tutti giovani e belli.
In un modo o nell’altro con i pochi soldi a disposizione alla Standa ci comprai diversi dischi, ad esempio Long May you run, della Stills-Young Band, che contemplai a lungo indeciso se prenderlo o no. Mi piaceva la copertina, quel quadro di una coppia di bufali scatenati. Ai tempi non c’erano le piattaforme digitali, l’unico modo per conoscere una canzone era se la passavano alla radio, così si comprava quasi sempre a scatola chiusa. La title-track l’avevo sentita e mi piaceva un sacco, ma il resto? Lo comprai credo un anno dopo l’uscita e infatti, a parte il capolavoro Fointanbleau di Young (una delle sue massime composizioni di sempre) mi piacque molto poco. Come dicevamo allora, “il classico disco da spinello”…
Alla Standa presi anche il primo dei Byrds in una edizione economica con una foto diversa dall’originale, che comprai perché vidi che facevano un sacco di pezzi di Dylan. Mi sarei follemente innamorato di loro. Presi anche una antologia di The Band e la colonna sonora di Banjoman, un film che in Italia non uscì mai e che mi fece avvicinare al country e al bluegrass.
A quei tempi di dischi se ne vendevano tantissimi, e nel giro di poco tempo aprirono a Chiavari altri tre negozi, tenendo conto che era una cittadina di 30mila abitanti. Uno sotto ai portici nei pressi della stazione, molto bello e fornitissimo, dove con i primi soldi guadagnati con il mio primo lavoro (togliere la ruggine e riverniciare una ringhiera…) comprai due doppi, altrimenti economicamente impossibili: On stage di Loggins and Messina e Double Dose degli Hot Tuna. Ci comprai anche Another Side of Bob Dylan e Wind on the water e Whistlin’ down the wire (anzi questo, come tanti altri, me lo imprestò un amico a cui non l’ho mai restituito…) di Crosby & Nash. Un mio amico, furbetto, si era specializzato nello spostare in un punto solo i dischi che gli interessavano, poi li copriva con il giaccone e li nascondeva dentro di esso e usciva senza pagare... Fu allora che misero il controllo elettronico sulle porte che suonava quando un disco non era passato alla cassa. Molto bene.
In Piazza Roma, poco distante dalla Standa aprì invece un negozietto molto piccolo che però aveva un sacco di roba bella. Ci passavo davanti tutte le mattine per andare a scuola. Ricordo quando in vetrina comparvero prima Comes a time e poi Rust never sleeps di Neil Young. Che gioia vedere spuntare come funghi questi dischi meravigliosi. Sembrava non dovesse finire mai, ogni mese una sorpresa.
Oltre a questi qui comprai JT di James Taylor, il live di Francesco Guccini con i Nomadi e Amerigo sempre di Guccini.
Qui assistetti a una delle scene più iconiche dell’epoca. Ero come al solito nel negozietto a frugare qua e là quando entrò un personaggio noto della città, il sosia di Joey Ramone, che grazie alla famiglia danarosa aveva un sacco di soldi. Il negoziante con lui era loquace visto che comprava un sacco di roba e a un certo punto con entusiasmo gli sventolò un disco mai visto: “Devi ascoltare questo, è appena arrivato dall’Inghilterra, è una bomba!”. Era il primo dei Dire Straits.
Ancora poco tempo e al porto aprì un altro negozio ancora, il migliore di tutti. Grande, grandissimo, con vista sul porto, era bellissimo recarsi lì per camminare tra le barche e poi nella musica. Soprattutto questo temeva anche i bootleg, che per un fan di Dylan come me erano il massimo. Purtroppo costavano una cifra, il doppio o anche il triplo dei dischi normali. Però aveva uno spazio dove teneva i cosiddetti dischi bucati, quelli che siccome avevano venduto poco erano stati ritirati dal commercio e costavano la metà. Entusiasta dopo aver visto il film Nashville comprai I’m easy di Keith Carradine. La canzone del titolo era stupenda, il resto del disco no.
Ci comprai una antologia economica che riprendeva una antologia della Vanguard con la foto di copertina ripresa da Country Dream (che casino facevano allora le case discografiche italiane) di Eric Andersen e fu l’inizio di un grande amore secondo o terzo solo dopo Dylan. Qui, bucati, presi anche Sweet surprise sempre di Andersen e Ballad of easy rider dei Byrds, che non solo era bucato, ma aveva il timbro di prodotto in vendita solo per l’esercito americano, proveniente senza dubbio dalla vicina base NATO di Pisa. Ai Marines i Byrds evidentemente non piacevano…
Non ricordo dove comprai il secondo volume del Greatest Hits di Dylan, e poi Planet Waves e poi Street Legal, Hobo’s Lullabye di Arlo Guthrie e tantissimi altri…
A vent’anni andai a vivere a Milano dove i negozi di dischi erano tantissimi spesso specializzati in un genere o in un altro, ma questa è un'altra storia. Quando tornavo a Chiavari facevo un salto al negozio di dischi al porto dove comprai ad esempio Soldier di Calvin Russell in una bella edizione speciale contenente uno zippo con il suo nome inciso.
Tutti quei negozi oggi non esistono più. Stranamente ha riaperto qualche anno fa dopo una chiusura di almeno venti anni quello in Piazza Roma (la Standa, come tutte le Standa d’Italia non esiste più da decenni…). Hanno aperto un paio di altri negozietti, completamente dediti ai vinili che si dice siano tornati di moda, ma io mi tengo i miei. I vinili originali costano un sacco e io comunque ne ho ancora tantissimi di quei tempi, quelli che ristampano oggi hanno una qualità sonora quasi sempre scarsa. E poi sono più comodo con i cd.
Vorrei però tornare ai tempi in cui entrai in quel negozio di Treviso, ritrovare lo stupore e l’emozione di quei giorni là, quando tutto era una scoperta e sembrava che non sarebbe mai finita….
Disclaimer: ovviamente la mia educazione musicale fu più grande dei pochi dischi qui citati, erano tempi in cui i dischi si imprestavano e soprattutto si duplicavano su cassetta Ne avevo una marea.
Disclaimer 2: non ho mai trovato un proprietario di negozi di dischi simpatico. Erano negozianti, per loro vendere dischi o saponette era lo stesso. Ma a quei tempi non dovevano intrattenere i clienti: i dischi si vendevano da soli.





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