Ho sempre pensato che Paul Simon e Woody Allen condividano qualcosa di profondo: New York. Nonostante il noto disprezzo di Allen per la musica rock e i suoi derivati (emblematico il sarcasmo con cui in Io e Annie (Annie Hall, 1977) risponde all’entusiasmo della giornalista di Rolling Stone per un concerto di Bob Dylan al Madison Square Garden), il regista ha reso omaggio al cantautore invitandolo a un breve, ma esilarante cameo nello stesso film. Naturalmente, Simon interpreta un personaggio odioso, responsabile persino di avergli "portato via la moglie".
Entrambi ebrei e nati nella Grande Mela, Simon e Allen hanno celebrato New York con uno sguardo unico. La città, romanticizzata come poche altre nella musica, nei film e nelle serie TV, non è sempre brillante e affascinante come appare sullo schermo, ma rimane un luogo iconico. Per alcuni può essere travolgente, con il caos delle strade, la folla e gli odori della metropolitana; per altri, è una fonte inesauribile di stimoli.
Paul Simon l’ha cantata più volte, spesso senza nemmeno nominarla, catturandone lo spirito attraverso personaggi che incarnano il perfetto newyorchese: un po’ liberal, in crisi coniugale, pieno di amarezza e humor. Proprio come Allen. Negli anni ’70, con l’avvio della sua carriera solista, Simon ha saputo riflettere l’essenza della città, anche se già con Art Garfunkel aveva esplorato questi temi in brani come Bleecker Street o The Only Living Boy in New York. E come osserva lo scrittore americano Stuart Mitchner, nella canzone America “Simon prende possesso della New Jersey Turnpike come un poeta, contando le auto che sono tutte venute a cercare l'America sotto forma della città verso cui il cantante e la sua ragazza stanno viaggiando su un Greyhound da Pittsburgh. C'è un senso di soggezione, meraviglia e speranza nell'idea della nazione incarnata nella sua città più grande. Ma questo accadeva alla fine degli anni Sessanta, quando la metropoli era ancora più o meno pari alla "New York umana ed eroica" di Walt Whitman. O forse una delle ragioni per cui il cantante si sente "perso", "vuoto e dolorante" è che intuisce cosa incombe dall'altra parte del millennio”.
Il legame di Simon con New York è indissolubile. Quando lui e Garfunkel tornarono insieme dopo un decennio, non a caso scelsero Central Park per il loro iconico concerto, durante il quale Garfunkel si prese il ruolo di vincitore, dedicando al pubblico la struggente A Heart in New York. Anche in anni più recenti, Simon ha reso omaggio alla città: nel 2012 con il live Live in New York City e nel 2018, dopo l’annuncio del suo ritiro, con una performance intima a Soho per beneficenza.
Nel 2015, Simon appare nell’album del leggendario cantante newyorchese Dion, duettando con lui nel brano che lo intitola, New York is my home: “New York mi sta chiamando E' al telefono È come le canzoni sul tetto Su dal selciato Non mi sentirai mai dire "La strada della città è troppo rumorosa" Sento un inno gospel In ogni folla che passa”. Se per Harry Nilsson, “Dio deve trovarsi a New York”, lo stesso vale per Simon, che creda in Dio o no.
Tornando al paragone iniziale con Woody Allen, ascoltando una canzone come 50 Ways to Leave Your Lover, non posso fare a meno di pensare ai suoi film e al suo cinico sarcasmo. Entrambi sanno catturare, con sensibilità e ironia, l’amarezza e la complessità delle relazioni umane.
In particolare, una canzone come The Dangling Conversation incarna perfettamente queste emozioni: amarezza, confusione, frustrazione per una relazione che sta sfumando. La immagino come colonna sonora di una scena da film di Allen: due amanti sconfitti si perdono in parole vuote. Personalmente, mi viene in mente un loft fra i tanti di Manhattan con la luce morente del sole in un pomeriggio tra la Quinta Strada e il Greenwich Village, quando, come in un film di Woody Allen, due amanti sconfitti si perdono in parole vuote:
È un acquerello di natura morta
Di un pomeriggio ormai tardo
Mentre il sole splende attraverso il pizzo della tenda
E le ombre bagnano la stanza
E ci sediamo e beviamo il nostro caffè
Adagiati nella nostra indifferenza
Come conchiglie sulla riva
Puoi sentire il ruggito dell'oceano
Nella conversazione penzolante
E i sospiri superficiali
I confini della nostra vita
E leggi la tua Emily Dickinson
E io il mio Robert Frost
E notiamo i nostri posti con i segnalibri
Questo misura ciò che abbiamo perso
Come una poesia scritta male
Siamo versi fuori ritmo
Distici senza rima
In tempo sincopato
E la conversazione penzolante
E i sospiri superficiali
Sono i confini della nostra vita
Sì, parliamo di cose che contano
Con parole che vanno dette
“L’analisi può essere utile?”
“Il teatro è davvero morto?”
E come la stanza è dolcemente sbiadita
E bacio solo la tua ombra
Non riesco a sentire la tua mano
Adesso sei un estraneo per me
Perso nella conversazione penzolante
E i sospiri superficiali
Ai confini della nostra vita
Commenti