Da Carnaby Street a Big Pink


Nella sua vita artistica Eric Clapton ha coronato ogni sogno che portava nel cuore. Ragazzino innamorato del blues, ha iniziato la sua carriera nell’esplosiva ed effervescente scena del british blues degli anni 60, prima facendosi le ossa negli Yardbirds poi entrando in quella fucina di talenti che furono i Bluesbreakers di John Mayall. La scena dell’epoca si evolve in quella stagione che molti considerano il vertice della musica rock, le colorate visioni psichedeliche lanciate dai Beatles in Inghilterra e raccolte dai Byrds in America. Lo stesso Clapton, fondando i Cream, porta questa scena alla sua massima espansione. Dopo di che Eric si innamora di nuove frontiere musicali, il southern soul di Delaney and Bonnie, e si aggrega al loro carrozzone. Mentre a inizio del nuovo decennio, i 70, è intento a registrare un nuovo progetto musicale in Florida, conosce Duane Allman, leader della Allman Brothers Band, il gruppo emergente americano più quotato del momento, e lo chiama in studio a suonare con lui, riuscendo a incidere quello che diventerà uno dei massimi capolavori della storia del rock.

Sempre in cerca di nuovi stimoli, inaugura una carriera solista tra le più brillanti della storia del rock che dura tutt’oggi. Sembra che Slowhand, sorta di Re Mida del rock, trasformi in oro tutto quello che tocca.

Tutto bene dunque? Il ragazzino di Ripley ha davvero coronato ogni sogno? Non esattamente. Uno è rimasto incompiuto, a rendere valido il vecchio motto dei suoi amici Rolling Stones: “You can’t always get what you want”. Ma per quelle curiose coincidenze del destino e soprattutto per chi ha la pazienza di aspettare, quel sogno si è incredibilmente realizzato oggi seppure in modo diverso.

Era il 1968 e Clapton era “Dio”, come qualcuno scrisse sui muri di Londra. Insieme a Jimi Hendrix era considerato il più grande chitarrista rock al mondo, ma lo stile di vita della superstar, i concerti nelle arene affollate, le troppe pressioni non si confacevano alla sua personalità. Per qualche ragione, come ha raccontato lui stesso, qualcuno gli diede un acetato di un disco che non era ancora uscito. Si intitolava Music from Big Pink ed era accreditato a un gruppo misterioso che si faceva chiamare semplicemente The Band. Dietro a quella sigla si celavano i musicisti che avevano accompagnato due anni prima Bob Dylan nel tour mondiale che sconvolse e cambiò la storia del rock, quattro canadesi e un batterista dell’Arkansas, noto ai frequentatori delle bettole del Canada e del sud degli States prima come accompagnatori di Ronnie Hawkins poi come Levon Helm and the Hawks. La loro musica era lontana anni luce da quella chiassosa e estrema che tutti in quel periodo storico facevano. Se gli assolo di chitarra e di batteria duravano ormai anche un quarto d’ora, questi ragazzi limitavano ogni eccesso strumentale e musicalmente e liricamente si rifacevano a un mondo scomparso, quello della vecchia America pre rock’n’roll. I loro valori erano la Bibbia e il lavoro della classe operaia e contadina. “All'epoca ero nei Cream con già l'idea che le cose non stavano andando nella giusta direzione, e ho pensato, beh, questo è quello che è. Sapevo chi era Robbie Robertson ma non avevo realizzato che quello fosse il suo gruppo. Pensavo fossero appena apparsi. Pensavo fossero tutti provenienti dal delta del Mississippi" disse al proposito Clapton.

Quella musica lo toccò così profondamente che decise che voleva conoscerli. Come scrive Robertson nel suo libro di memorie, Testimony, Clapton li chiamò e chiese se poteva visitare Big Pink, la casa in cui stavano scrivendo e registrando. "Eric era un vero gentiluomo ed era felice di essere con noi attorno”, scrisse Robertson. "Tutti noi vivevamo in modo abbastanza privato, e speravo che Eric non lo trovasse troppo discreto e noioso." Clapton descrive il loro primo incontro come uno scontro di due culture: lui con pantaloni a zampa d'elefante e una camicetta con volant, l'uniforme de facto dell'era hippie, e la band vestita come se fosse appena uscita dalla linea di produzione di una fabbrica.

In realtà, Eric voleva davvero diventare un membro di The Band. "Erano magnifici eroi per me", ha detto Clapton. "E così sono andato a suonare con loro, e fu la stessa cosa che era successa con le session di Aretha Franklin: mi presento con tutto questo armamentario addosso, i ragazzi sono tutti in abiti da lavoro e io dico, beh, facciamo una jam? Risposero: "Non facciamo jam, scriviamo canzoni e suoniamo canzoni". ... Ho pensato, mio Dio, questi ragazzi sono davvero seri."

Scrive ancora Robertson nel suo libro: "Gli chiesi scherzosamente se stava suggerendo che avremmo potuto avere due chitarristi, oppure voleva prendere il mio posto?" scrive. "Non ha mai risposto."

 Ovviamente l’Eric Clapton di quel momento storico non avrebbe mai potuto funzionare all’interno di un gruppo così radicalmente diverso, sarebbe stato un corpo estraneo che sarebbe stato espulso quasi immediatamente. Per la prima volta nella sua vita, qualcuno aveva detto di no a Eric Clapton. Ma le strade del chitarrista e del gruppo canada-americano si sarebbero incrociate di nuovo. 

La prima volta sarebbe stata nell’estate del 1974 quando il chitarrista inglese invitò il gruppo ad aprire alcune date del tour che seguiva la pubblicazione di 461 Ocean Boulevard. I concerti si tenevano in grandi stadi da oltre 40mila spettatori, sulla carta uno degli eventi musicali dell’anno, ma Clapton non era nelle condizioni migliori. Aveva cominciato a bere in modo smisurato e non era in grado di reggere il confronto con Robbie Robertson e compagni che a loro volta erano grandi bevitori: spesso veniva accompagnato fuori del palco in condizioni pietose. Clapton in un paio di occasioni si unì a loro durante l’esecuzione di Stage Fright. 



 Nel 1976 il produttore Rob Fraboni, in partnership con i membri di The Band compra quello che negli anni 40 e 50 era stato un bordello dalle parti di Zuma Beach vicino a Los Angeles, lo Shangri-La Ranch, per farne un moderno studio di registrazione. Tutti i membri di The Band con l’eccezione di Levon Helm che era rimasto a vivere a Woodstock si erano trasferiti da tempo in quella zona. Diventò ben presto uno degli studi di registrazione più all’avanguardia, con una consolle a 24 tracce. Lo studio divenne luogo di ritrovo per rock star come Bob Dylan, Ron Wood, Van Morrison, Joe Cocker e anche Clapton. Le feste a base di super alcolici erano la norma e lo stile di vita così bizzarro che Dylan era solito passare settimane in una tenda nel giardino dello studio.

In quel periodo in quello studio The Band registrò il loro sesto album, Northern Lights-Southern Stars, e Clapton No Reason to Cry, che sulla carta avrebbe dovuto essere uno dei più grandi dischi rock di sempre, vista la partecipazione, finalmente, di The Band a un disco di Clapton. Purtroppo, a parte Robertson, gli altri membri del gruppo erano caduti da tempo nella spirale dell’alcol e delle droghe e Clapton non era da meno. Il disco gode di alcuni bei momenti (su tutti il duetto con Bob Dylan in Sign Language che vede un ottimo intervento di Robbie Robertson alla chitarra), ma per la gran parte suona come quello che era: la riunione di un gruppo di amici di mezza età ubriachi e svogliati (nel disco un pezzo - Beautiful Thing - è scritto da Rick Danko e Richard Manuel e un altro - All our past times che è anche uno dei migliori dell’album - da Clapton con Rick Danko).

 In quello stesso anno Clapton è invitato a partecipare al concerto di addio di The Band a San Francisco insieme al gotha della musica rock del tempo. Slowhand si esibisce in All our past times e nel vecchio blues Further on up the road. Ai tempi, qualcuno commenterà che “ci voleva The Band per far tornare Clapton a suonare la chitarra solista al suo livello”. Further up on the road viene infatti immortalata nel film di Martin Scorsese e rappresenta una delle più eccitanti esibizioni del chitarrista inglese, con tanto di chitarra che si slaccia durante l’assolo e Robertson che irrompe per prenderne il posto mentre Clapton recupera lo strumento. E’ un momento esaltante in cui si nota la diversità di stile fra i due. Mentre Clapton come suo solito fa suonare la chitarra con senso della melodia e grande classe, Robertson lancia un assolo furioso e nervoso come una raffica di mitragliatrice. 



 Le strade di Clapton e The Band si reincrociano solo nel 1998, quando il gruppo pubblica quello che sarà il loro ultimo disco (senza Richard Manuel, morto suicida nel 1986, e Robbie Robertson), Jubilation. Finalmente il chitarrista inglese corona il suo sogno di suonare in un disco di The Band, prendendo parte al brano Last Train to Memphis. Ma una sorpresa maggiore arriva nel 2011 quando Robbie Robertson pubblica il suo nuovo disco solista, How to Become Clairvoyant. Nel disco molti ospiti illustri, da Steve Winwood a Tom Morello, ma soprattutto Clapton che suona in ben sette pezzi, ne firma due con l’ex chitarrista di The Band (Fear of falling e Won’t be back) e ne regala uno composto di suo pugno (Madame X). Si potrebbe quasi definire questo disco come quello della coppia Robertson-Clapton. Quel sogno di tanti anni prima è diventato realtà per il chitarrista inglese e il cerchio sembra chiudersi qui. Ma non è finita.

 E’ la sera dell’8 settembre del 2023, a Pittsburgh. Un mese prima è morto, a 80 anni di età, Robbie Robertson. Alla PPG Paints Arena sta per cominciare il nuovo breve tour nordamericano di Eric Clapton. Quando la band che lo accompagna attacca le prime note c’è sorpresa tra il pubblico, in pochi riconoscono che brano sia. Non è un brano del chitarrista, non è uno dei soliti pezzi con cui comincia i suoi concerti. Che sta succedendo? Il dubbio viene spazzato via quando Eric comincia a cantare le parole di The Shape I’m In, brano di The Band contenuto nel disco Stage Fright pubblicato nel lontano 1971. Lo cantava Richard Manuel, che del gruppo era stato il miglior amico di Clapton per la devastante dipendenza di entrambi, negli anni 70, dall’alcol. L’esibizione è energica, robusta e appassionata. 



 Ma le sorprese non sono finite. Il secondo pezzo in scaletta è ancora una canzone di The Band, It makes no difference, pubblicata in Northern Lights – Southern Cross del 1976 e resa celebre dalla stupenda performance vocale di Rick Danko. Clapton canta benissimo questo difficile e sofferente brano, lasciando andare tutto l’amore che ha sempre provato per la musica di questo gruppo. Alla fine si limita a dire “Robbie Robertson”. In un colpo solo Eric Clapton ha pagato tributo a The Band e al loro chitarrista appena scomparso. Un gesto nobilissimo che si ripeterà tutte le sere di questo tour. Quel vecchio sogno, essere il chitarrista di The Band, alla fine si è realizzato. E dal risultato possiamo dire che includerlo nel gruppo non sarebbe stata quella scelta sbagliato che tutti pensarono sarebbe stata.

 

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